Una pasquetta spericolata

marzo 30, 2008

24 aprile 2008, o meglio ancora giornata di pasquetta.
La giornata inizia presto, alle 6.20 mio padre che mi chiama e mi dice «ancora qua sei? non devi essere alla stazione alle 6.30?», come al solito non mi presta attenzione quando parla e prende in modo randomico parole da quello che gli dico e si inventa cose tutte sue. Forse s’immagina anche io stia costruendo un robot in cartapesta per la mia tesi…
Alle 6.30 suona puntuale la sveglia, lei sì che non sgarra mai di un minuti e fa proprio come le avevo detto la sera prima. Mi sveglia col suo solito fare, prima un beep, poi un secondo di silenzio e via con una serie di suoni che ti mettono l’ansia. Corro a spegnerla e mi rimetto nel letto.
Fuori piove, c’è vento e io penso che devo scendere in bici ad ogni costo, ho la responsabilità del gruppo che salirà a Notarbartolo.
Dieci minuti e accendo il cellulare, ecco un messaggio di Laura «già se la sono arrifardiati in sei» e cominciamo a mandarci una miriade di messaggi pur di non alzarci, finché non diventa obbligatorio, e allora colazione veloce e di corsa in bici.
E’ la prima volta che vado su questa bici, non la trovo poi tanto comoda, specilamente per frenare, è la bici da corsa che mi ha regalato Davpal e che ho chiamato, appunto in suo onore, davpal.
Passo da Laura con il massimo della puntualità e andiamo alla stazione e siamo soli. Ovviamente gli altri sono arrivati tutti all’ultimo minuto.
Saliti sul treno ci guardiamo negli occhi, siamo comunque un bel po’, giovani e non, e tutti matti.

Le due ore di treno passano in fretta, anche se ci conosciamo già tutti non mancano argomenti per conoscerci meglio, parlando di tutto un po’.
Arrivati a Castellammare ci rendiamo conto che il precisissimo meteo del nostro astronomo si sbagliava di brutto. Lui prevedeva pioggia dalle 12 in poi, noi la pioggia ce la siamo presi sin da subito. Pazienza, siamo cicloturisti o no? Ci piacciono le strutture megaconfortevoli che deidentificano l’ambiente o ci piace viverlo così come è, nei suoi pregi e nei suoi difetti?
Dopo la prima e lunga salita facciamo una sosta e troviamo un’istante di sole che ci riempe di ottimismo e ci dirigiamo verso il famoso bar di Castellammare, punto di incontro per tutti quelli che si muoveranno poi per Segesta. Lì tutti ci guardano come se fossi degli alieni, ma siamo semplicemente matti. Lo pensano anche degli amici che incontriamo lì per caso.
La sorpresa più piacevole è stata l’arrivo di un socio con moglie che hanno cambiato idea all’ultimo e hanno deciso di raggiungerci in auto+bici. Una vera manna dal cielo avere una macchina di servizio con quel temporale.
oltre la pioggia arriva anche la grandine, ma non possiamo più rimanere sotto la tettoia, bisogna andare e andiamo.
Se prima sembravamo dei matti agli occhi della gente, adesso ne avevano la conferma, stavamo veramente pedalando sotto la tempesta.

Nel programma la gita viene indicata come facile-medio, con qualche leggera salitina, e anche se le salite erano leggere, le discese non erano più frequenti. Anche le zone in piano erano sporadiche.

La strada è lunga e i partecipanti etoregenei, non tutti riesco a mantenere lo stesso ritmo e così il gruppo si sfalda in due, ma non sarebbe dovuto essere un problema, avevamo quattro ricetrasmittenti ed eravamo anche in quattro ad avere esperienza, nonché certificato, di accompagnori cicloturisti, invece ad un bivio importante ci siamo persi.
Al bivio che indicava Segesta noi dovevamo andare dalla parte opposta, ma questo, prevedendo un gruppo compatto, non lo sapeva nessuno se non il capogita, così il secondo gruppo ha sbagliato strada.
Mea culpa, sarei dovuto rimanere al bivio a fare il palo e a indicare la strada corretta, ma la pioggia e davpal che non era il massimo della comodità mi hanno fatto dimenticare il mio dovere.
Nel frattempo noi procediamo cercando un punto dove ripararci e sulla strada troviamo dei rospi schiacciati dalle auto. I rospi migrano nella stagione dell’amore ad accoppiarsi in zone ben determinate e ogni anno avviene una strage nelle strade di campagna del nord, ma non pensavo che potesse succedere anche in Sicilia, dove di zone paludose per i rospi per quanto ne so non esistono un gran ché e la battuta nasce spontanea «quei due rospi dovevano essere gli unici veramente innamorati, infatti sono morti male». Dopo una lunga discesa troviamo un ponte dell’autostrada con tanto di slargo sotto dove sostare.
La cosa più stupefacente è stata scoprire che in questo slargo c’era una sorta di capanna di legno, con tanto di tavolo e un materasso. Inutile dire che è stata provvidenziale, tutti lì dentro a riscaldarci a vicenda come il bue e l’asinello della favosa grotta.
Altra presenza provvidenziale è stata quella di Marcello, che nel suo zaino portava due bottiglie di vino rosso «in caso non bastasse quello del ristorante» aveva detto sul treno, e invece ecco che si rivela utile per riscaldare un po’ il nostro spirito.
Ricompattato il gruppo via di nuovo verso la meta, ma questa unione non sarebbe durata a lungo, infatti dopo qualche chilometro le salite e il vento avverso «fanno selezione» (per dirla alla Gianluca) costringono il gruppo a sfilarciarci nuovamente.
Anche io ad un certo punto mi sono dovuto fermare. Il cuore stava uscendo dal petto, ma non ci si poteva arrendere, bisognava andare avanti, contro il vento, la pioggia, il fango e la salita in tornante in strada trafficate dalle auto in doppio senso di circolazione.
Ogni passo sembrava una vittoria e incitare gli altri era un modo per autoconvincersi.

Ad un certo punto il sapore della pioggia sulle mie labbra viene accompagnata da splendide visioni multicolore, fiorellini viola, gialli e arancioni, colori che mi fanno sorridere e guardare avanti dove tutto sembra migliorare.
Davanti a me montagne verdi, di tutti i colori del verde immaginabili, il sole e le nuvole aiutavano a creare sfumature incredibili e il cielo, sopra le nuvole era ancora, segretamente, blu.
Piano piano spingo finché sento che è l’ora di ritentare a salire sulla bici, non capisco più se piove o meno, e vedo il tempio illuminato e la salita che sta per finire e la discesa che sta per iniziare.
Mi metto in sella e vado, un piccolo sforzo e poi si scende, con tanto orgoglio per avercela fatta.
Giù si decide per evitare la visita al tempio e di correre al riparo dentro al ristorante all’antica stazione e soprattutto a rifocillarci.

Arrivati al ristorante mettiamo al riparo le nostre bici e invadiamo la sala per noi predisposta. Tavolata unica per una trentina di persone, proprio come piace a me, possiamo stare tutti insieme come una grande famiglia anche se un tavolo rettangolare è pur sempre dispersivo.
Iniziamo a spogliarci, a cambiarci, c’è chi addirittura cammina a piedi scalzi tranquillamente, come se fosse a casa sua.
A tavola c’è già il vino, l’acqua e il pane, e ovviamente noi abbbiamo solo occhi per vino, così brindiamo alla nostra avventura e alla nostra bella compagnia di pazzi in bicicletta, riscaldandoci il gargarozzo.
Fuori spunta il sole, quasi a prendersi beffa di noi, di noi che invece lo guardiamo sorridendo come a voler dire «peccato che non ci hai accompagnato in questa pedalata, ti saresti divertito anche tu!»
Arrivano anche le pietanze,un piatto con carne di agnello, un rotolino di salsiccia e una fetta di carne di maiale. Ci aspettavamo tutt’altro, ci aspettavamo una bella grigliata tipo scampagnata. Forse in condizioni normali quella carne sarebbe bastata, forse anche avanzata, ma dopo tutta quella fatica è stato necessario richiedere una pasta extra per tappare il buco. Grazie ad Alessandro poi abbiamo avuto anche un trattamento particolare, ci anno fatto una pasta buonissima ad un prezzo scontato (anche se comunque più caro di quello che avremmo voluto).
Inoltre era necessario ingannare il tempo visto che fuori continuava a piovere e non ci era rimasto dove andare e cosa ci può essere di meglio che mangiare e bere per ingannare il tempo? Specialmente se poi si comincia a parlare a ruota libera su cose che magari non avresti mai fatto prima?
Nel frattempo guardo la brocca di vino, guardo Stefania con sguardo complice e le dico «svuoto la bottiglietta d’acqua?» e dopo un poco eccomi travasare il vino dalla brocca alla bottiglia, e travasare anche quello rimasto dai bicchieri, proprio da ubruaconi.
Io, poi, completamente andato scrivo sms a macchinetta, li scrivo come mi vengono senza rileggerli e la fusione traspare abbastanza. Tutto finisce però quando le mie orecchie odono parole in vino veritas.
Sempre in modalità fuso-mode ON canto un cd di Vasco con canzoni sconosciute ai più insieme a tanta bella gente che mi sorprende conoscendole: Valium, Susanna, Voglio andare al mare, Non l’hai mica capito, Sensazioni forti, Ieri ho sgozzato mio figlio e altre ancora.
Intanto Irene sente la necessità di un sacco a pelo, e io e Stefania rispondiamo al balzo che necessito di un sacco di pelo.
Il presidente l’aveva detto che eravamo una compagnia di pazzi, l’aveva già detto «il webmaster è ubriaco».

La sera arriva e i camerieri hanno già pulito tutto, spengono i condizionatori, le luci e ci chiedono di andare, che è festa anche per loro.
Ci vestiamo e andiamo sotto un gazebo a ripararci. Dopo un po’ iniziano lezioni di salsa, arti marziali, discorsi sul sapersi arrangiare, tanto per ingannare il tempo.
Il delirio continua così all’esasperazione, fino a quando non ci spostiamo nella stazione ad aspettare il treno e giocare a arriva totò cu tutti i so figghi.

Arriva il treno, carichiamo le bici molto male e dobbiamo dividerci in due vagoni, ma lo spirito goliardico rimane e cominciamo a giocare ad indovinare la parola scritta sulla propria fronte facendo domande agli altri. La prima povera vittima doveva essere quello apparentamente più bevuto che giustamente ero io (continuavo ad assaggiare il vino per riscaldarmi), la parola che avrei dovuto indovinare era defecografia, vi sembra giusto?
All’altezza di Carini ci viene detto che dobbiamo scendere a causa di linea interrotta e cominciamo già a preoccuparci. Dopo un po’ ci avvertono che c’è la possibilità di continuare fino a Tommaso Natale e noi tiriamo un sospiro di sollievo.
A Tommaso Natale aspettando di scendere sentiamo il vagone muoversi, il vento lo faceva ondeggiare, shockante!
Scendere dal treno è stato spaventoso, bastava staccare il piede da terra per sentirsi tirati via dal vento.
Fortunatamente tutti abbiamo trovato un passaggio per tornare a casa e tutto è bene quel che finisce bene.
Dopo qualche ora siamo tutti a casa pronti a ricordare una giornata molto particolare.

E come direbbe il mitico Vasco:

Cosa importa se è finita
che cosa importa se ho la gola bruciata
o no!?!
Ciò che conta è che sia stata
come una splendida giornata
Una splendida giornata
straviziata, stravissuta, senza tregua
Una splendida giornata,
sempre con il cuore in gola fino a sera,
finché la sera non arriverà
Ma che importa se è finita,
che cosa importa se era la mia vita… o no!?!
Ciò che conta è che sia stata
una fantastica giornata… morbida…
Oh splendida gionata
che comincia sempre con un’alba timida
Oh spledida giornata
quante sensazioni, con quali emozioni
poi, alla fine, ti travolgerà

Cosa importa se è finita,
che cosa importa se ho la gola bruciata… o no!?!
Cosa importa se è durata…
quello che conta è che sia stata
Una splendida giornata
straviziata, stravissuta, senza tregua.
Una splendida giornata
sempre con il cuore in gola fino a sera,
finché la sera non arriverà
finché la sera non arriverà